17 settembre 2010

Fare bene la Comunione

Negli ultimi commenti sul blog alcuni si sono lamentati che non è stata abbastanza messa in risalto la necessità di ricevere la comunione degnamente. Capisco la preoccupazione che essi esprimono, ma sento anche la necessità di affrontare la questione con attenzione. Questo perché ci sono in ballo due beni importanti, che devono essere tenuti in equilibrio:

- ricevere frequentemente la Santa Comunione, che è un cibo grande e necessario per noi, come Gesù insiste in Gv 6:50-55;

- ricevere degnamente la Santa Comunione; sulla necessità di questo punto lo Spirito Santo ci mette in guardia, attraverso San Paolo, in 1 Cor 11:27.
Diamo un'occhiata a questi testi brevemente.

Gesù è stato molto chiaro nell’insegnare che la Santa Eucaristia è un alimento necessario per noi:

“Questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?". Gesù disse loro: "In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. (Giovanni 6:50-53)

Quindi appare chiaro che è essenziale ricevere la santa Comunione frequentemente, se non ogni settimana. La prassi della Chiesa di celebrare la messa ogni giorno (o ogni settimana come nei riti orientali) e di offrire la Santa Comunione ad ogni Messa conferma l’interpretazione delle parole del Signore che è necessario che i fedeli ricevano l'Eucaristia con una certa frequenza, preferibilmente ogni settimana.
 Questa pratica ci distingue dalle nozioni protestanti in cui la ricezione frequente della santa Comunione (ammesso e non concesso che la consacrazione avvenga validamente) è stata in gran parte annullata. Il "se non mangiate" in questo testo è una espressione piuttosto forte che non può ignorata facilmente. Gesù insegna che in effetti la Santa Comunione è una conditio sine qua non per avere la vita. In altre parole è un alimento essenziale senza il quale stiamo morendo spiritualmente. Così questo è un punto su cui la Chiesa deve insistere, il ricevere frequentemente gli alimenti necessari.

Ma le Scritture insegnano anche la necessità di riceverla degnamente, cioè avendo formato il giudizio, in coscienza, di non essere in peccato grave. E anche qui il testo è molto chiaro e forte:

“Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati” (1 Cor 11:27-31)

Così, la Scrittura considera la ricezione indegna o noncurante della Santa Comunione come una cosa molto grave dal momento che è un peccato fatto direttamente contro il Corpo del Signore. San Paolo collega a questo anche delle punizioni severe da parte di Dio: malattie, anche la morte. Tutti coloro che commettono tale peccato attirano il giudizio su se stessi, il che per lo meno richiede una correzione da parte del Signore e, forse, una condanna. Questo testo, come pure la Tradizione, ha fatto sì che la Chiesa mettesse in guardia qualsiasi fedele consapevole di peccato mortale di astenersi dalla Santa Comunione fino a quando non fosse riconciliato attraverso la confessione.
Agendo così la Chiesa non è "cattiva" o "restrittiva" come dicono alcuni. Invece essa è fedele alla Scrittura e compie un gesto di carità verso i fedeli mettendoli in guardia nei confronti di quelle cose che  li possono mettere sotto un giudizio di condanna.

La Chiesa ha lottato nei secoli per mantenere i fedeli in equilibrio rispetto a questi due valori. In effetti per molti secoli la gente è rimasta lontana dal ricevere la Santa Comunione, ricevendo solo molto raramente. Mi ricordo che mia nonna (che era nata nel 1896) una volta mi ha detto che quando era bambina quasi nessuno andava a fare la Comunione. In una Chiesa piena di centinaia di persone, capitava spesso che nessuno andasse a farla. Nonostante la confessione, molti si ritenevano comunque indegni. Questa ricezione poco frequente aveva indotto la Chiesa nel Medioevo ad insistere sul "Precetto pasquale" che ha richiesto ai fedeli, a titolo di precetto, di ricevere la Santa Comunione almeno una volta l'anno nel tempo pasquale, dopo aver fatto la Confessione sacramentale, ove necessaria. Durante il Medioevo perfino i monaci e le monache facevano la Comunione solo poche volte all'anno! Più di recente, al volgere del secolo scorso, il Papa Pio X aveva incoraggiato la ricezione più frequente della Comunione Eucaristica, tra l’altro anticipando di parecchio l'età della prima comunione.

La Comunione poco frequente fu un estremo. Ultimamente sembra che abbiamo l'altro estremo in cui quasi tutti i presenti alla Messa ricevono la Comunione, ma solo una piccola percentuale di essi si sono confessati di recente. Per ricevere degnamente la Comunione bisogna essere liberi dal peccato mortale.
 Oggi, molto pochi dei fedeli hanno le nozioni necessarie dei requisiti per ricevere degnamente la Comunione. Ciò è dovuto alla catechesi fatta male, nonché ad un mutamento della percezione del peccato in generale e del peccato mortale in particolare. Molti, in effetti, non hanno le idee chiare su ciò che costituisce peccato mortale. Sono stato sorpreso di apprendere all'inizio del mio sacerdozio, che molti giovani non avevano la minima idea di ciò che significava l'espressione "peccato mortale". Alcuni immaginavano che significasse aver ucciso qualcuno. Ho provato a riferirmi ad esso come “peccato grave”, ma ho anche scoperto che molte persone non prendono sul serio un sacco di cose.

La maggior parte dei sacerdoti sono consapevoli che bisogna lavorare molto per rimediare a questa situazione. Dire semplicemente "confessatevi più spesso" non basta, dato che molti, pur ammettendo la presenza del peccato nella loro vita, non vedono come grave la propria situazione. "Dopo tutto nessuno è perfetto, Padre", questa è la profondità del senso del peccato di alcuni. Anche in questo caso, la catechesi e la predicazione fatte male sono in parte responsabili.


Come siamo arrivati a questo punto? Secondo me stiamo vivendo una reazione (in realtà una reazione eccessiva) al concetto di peccato che era diffuso nel 1950. Sono nato nel 1961 e, non essendo stato in vita nel 1950, (tanto meno ero prete), devo fare affidamento per le mie informazioni su quel periodo nella Chiesa, sui sacerdoti più anziani, sugli anziani in generale e anche su aspetti di quel tempo di cui si sente l'eco nelle confessioni e nei modi di pensare delle persone anziane di oggi. Da queste fonti è sorta la mia valutazione, che nel 1950 e prima vigeva una nozione molto oggettiva di peccato che teneva poco conto delle circostanze e/o di fattori personali.


Un paio di esempi possono illustrare questo punto. Un vecchio prete mi ha detto che una volta aveva incontrato una donna che insisteva per confessarsi, perché aveva commesso un peccato mortale recandosi in Chiesa. Sembra che il peccato fosse quello di aver rotto il digiuno. Quello che era successo è che una mosca le era volata in bocca e lei la aveva ingoiata per sbaglio. Anche se il prete ha cercato di rassicurarla che lei non aveva nessuna colpa, lei insisteva che la mosca costituiva "nutrimento",  e aveva bisogno di essere assolta per poter ricevere la Comunione. Altri sacerdoti più anziani mi dicono storie simili, anche se meno bizzarre. Pare che questo facesse parte della formazione dei fedeli a quei tempi. Ho avuto alcune  conferme personali di questo genere di pensiero durante i miei 21 anni di sacerdozio. Ad esempio, due volte questo inverno passato abbiamo avuto delle forti nevicate qui a Washington, che  si sono avvicinate ai 75 centimetri. Nonostante questo, ho avuto un certo numero di anziani che hanno confessato di aver perso la Messa in questi fine settimana. Quando ho ricordato loro che era impossibile uscire con 75 centimetri di neve, ribattevano imperturbabili: "Ma è stato un peccato perdere la Messa, Padre." Ho imparato ad accettare che questa era la loro formazione. Gli hanno insegnato che il peccato è solo una cosa molto oggettiva. Le circostanze erano del tutto fuori luogo.


Ora, mentre questo pensiero potrebbe essere stato accettato da molti della generazione più vecchia, è chiaro che tale pensiero meccanicistico è stata respinto da molti durante la crisi degli anni ‘60. E francamente l'oggettivazione estrema del peccato senza alcun riferimento alle circostanze aveva necessità di essere corretta. Una corretta teologia morale tiene conto di circostanze e fattori personali nel valutare la colpevolezza. Perché ci sia peccato mortale, è richiesta non solo la materia grave, ma anche la piena avvertenza e il deliberato consenso della volontà. A volte capita che l’avvertenza e/o il consenso della libertà sono ostacolati, e tali fattori devono essere presi in considerazione. Tali fattori non possono rendere buono un atto cattivo, ma possono influenzare la colpevolezza. L’attuale pratica pastorale nel prendere queste cose in considerazione è illustrata nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Prendiamo ad esempio la nota pastorale ai confessori,  inclusa nel catechismo, riguardante la masturbazione che, pur considerata obiettivamente un peccato grave, può ammettere alcune circostanze personali:


“Per formare un giudizio equo sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l'azione pastorale, si deve tener conto della immaturità affettiva, delle abitudini acquisite, delle condizioni di ansia o di altri fattori psichici o sociali che diminuiscono, se non addirittura riducono al minimo, la colpevolezza morale. (CCC # 2352)


Ma le vecchie prassi pastorali, a quanto pare, prendevano in poca considerazione circostanze o fattori, quali il pieno consenso della volontà ecc. L’insegnamento ufficiale della Chiesa insegnava queste cose, ma la pratica pastorale del tempo presentava il peccato in un modo molto più meccanicistico, e altri aspetti della dottrina della Chiesa nel 1950, e forse anche prima, venivano scarsamente comunicati.


In una certa misura ciò può aver portato alla sovra-reazione che abbiamo vissuto nei tardi anni ‘60 fino al 1980. Invece di perfezionare e chiarire la loro comprensione della vera dottrina cattolica, molti si sono semplicemente sbarazzati di quella che era una caricatura della dottrina cattolica, che ormai sembrava irragionevole. E la caricatura era davvero irragionevole. Purtroppo anche molti sacerdoti e catechisti cattolici del tempo, anziché chiarire l'insegnamento, hanno sovracompensato. Hanno negato qualsiasi nozione oggettiva di peccato e hanno sottolineato in modo eccessivo aspetti come le sensazioni, le circostanze, delle false nozioni di coscienza e così via. Ora sembrava che SOLO le circostanze importassero,  insieme con la riflessione e i sentimenti personali, e con una nozione di responsabilità personale molto impoverita.


Così eccoci qui oggi, con lunghe file di persone alla Comunione (bene), ma senza file per la confessione (male). Spetta a noi, ai sacerdoti che predicano e ai catechisti che insegnano, di ristabilire la connessione tra la confessione frequente e la comunione settimanale. Ma, come ho cercato di dimostrare, limitarsi a dire: “la gente dovrebbe andare” non basta perché vadano davvero. E’ anche necessario ripristinare un sano senso del peccato. La versione del 1950, almeno come l'ho descritta, non era sana. Ma nemmeno è sana la nostra versione attuale, che non vede nulla che sia oggettivamente sbagliato, niente di grave, che riduce la riflessione morale a "come mi sento", e mette da parte ogni nozione di giudizio finale appigliandosi a luoghi comuni come "Dio capirà".


Parte della ri-catechesi che è necessaria è quella di reintrodurre una concezione più globale e meno meccanicistica del senso del peccato. Il peccato comprende non solo gli atti specifici, ma anche impulsi e atteggiamenti molto profondi, che possono diventare molto significativi. Possiamo essere molto risentiti, ingrati, impudichi, crudeli, spietati, duri, avidi, mondani e materialisti. Il peccato è più che"mi sono arrabbiato tre volte con i miei bambini, ho usato parolacce varie volte e sono stato distratto nella preghiera molte volte, e ho compiuto un atto solitario di abuso di sé."
Il peccato comprende anche queste cose, ma anche che noi siamo egoisti , permalosi, poco amorevoli, spietati e, a volte, semplicemente cattivi. Siamo nel profondo bisogno della misericordia e della guarigione da parte di Dio, e alcuni di questi atteggiamenti sono molto più gravi di quanto ci piace pensare. Essi possono causare gravi danni. A un certo punto, stando lontano dalla confessione per lunghi periodi, rischiamo di  intrattenere con noi stessi un delirio orgoglioso, che si trasforma esso stesso in un peccato grave. Chi dice che non ha peccato chiama Dio “bugiardo” (1 Giovanni 1:10). Nel tentativo di insistere sul fatto che la gente deve andare a confessarsi prima della Comunione se sono a conoscenza di peccati mortali, dobbiamo essere disposti, prima, a chiarire la nozione di ciò che è peccato grave o mortale.

La Chiesa avrà sicuramente bisogno di continuare a fornire orientamenti individuando peccati particolarmente gravi, ma in ultima analisi, la Chiesa non può mai svilupparne un elenco esaustivo poiché le circostanze spesso influenzano la gravità. Ci sono alcuni peccati che sono sempre, obiettivamente mortali (ex toto Genere suo), peccati come l'assassinio degli innocenti. Ma ci sono molte altre cose come il pettegolezzo che, pur non sempre o non di solito mortali, possono diventarlo se rovinano delle reputazioni e se c’era l'intenzione di farlo. Dal momento che il legalismo del passato è stato in gran parte respinto, può essere meglio per noi  predicare un senso del peccato  più completo, incondizionato e inclusivo che spieghi gli impulsi profondi del peccato e che valutino tutta la persona, piuttosto che concentrarsi soltanto su questo o su quell’atto.


Abbiamo un sacco di lavoro da fare per ristabilire l'equilibrio dei due testi della Scrittura sopra citati. La ricezione frequente e allo stesso tempo degna della Comunione è stata storicamente in bilico in un equilibrio difficile da mantenere. Molti fattori entrano in gioco perché venga trovato questo equilibrio. Limitarsi a dire alla gente di confessarsi prima della Comunione, se siano a conoscenza di essere in peccato mortale, presume molte conoscenze che molti non hanno, e dei presupposti che molti non condividono, a volte non per colpa propria. Abbiamo più lavoro da fare che limitarci a dire alla gente cosa fare. Dobbiamo insegnare e ristabilire un sano senso del peccato e una più profonda consapevolezza di ciò che è sacro e appropriato per ricevere degnamente la Santa Comunione.