2 settembre 2010

Tolleranza e carità

La tolleranza è una bella parola, ma è una virtù cristiana? L’Arcivescovo Charles Chaput di Denver non la pensa così, e la sua affermazione ha provocato non poche proteste. In un editoriale compiaciuto, la rivista America ha recentemente rimproverato Chaput per aver inasprito il tenore del discorso intra-ecclesiale. Anche se è giusto cercare di comportarsi in maniera cortese e civile, esiste un tipo di tolleranza che favorisce solo il torpore intellettuale e morale che affligge il pubblico dibattito.

I fautori di un approccio più gentile e delicato ai grandi temi del nostro tempo spesso cercano un gioco di prestigio retorico, la tolleranza accoppiata con la carità. Tale accoppiamento è, nel migliore dei casi, ambiguo. La chiamata alla carità – amare il prossimo in quanto figlio di Dio - è universale e, si spera, non viene messa in discussione. Ma cosa vuol dire essere tolleranti verso coloro con i quali siamo in disaccordo su questioni serie? Se usato come sinonimo di carità, combinando pazienza e magnanimità, può essere accettabile, ma rimane un uso debole e impreciso del termine. Gesù non disse: "Tolleratevi gli uni gli altri, come io vi ho tollerato." Sicuramente, siamo chiamati a fare qualcosa di più che non sopportare l'altro. Il traffico nel centro di Manhattan io lo tollero, ma ne farei volentieri a meno. E in cosa consiste esattamente l’essere intollerante degli altri, non delle opinioni degli altri, ma delle loro persone? Si può essere poco caritatevoli, cattivi o villani, ma non è del tutto identico all’essere intolleranti. Pur con lo scopo nobile di un tono più elevato nel discorso pubblico, l’appello alla tolleranza manca in qualche modo il bersaglio.

Il concetto di tolleranza è formato dalle idee, credenze e convinzioni di una persona. Tale ambito non può essere considerato innocuo, relegato in una torre d'avorio e, pertanto, isolato da ogni implicazione rispetto al mondo reale. Come pensiamo determina il modo in cui agiamo. Richard Weaver ha scritto circa sessanta anni fa che le idee hanno delle conseguenze, conseguenze che hanno un forte impatto sulla salute morale e spirituale e sul benessere della società. Per fare un esempio tratto dal settore economico, sarebbe difficile sopravvalutare i modi in cui le idee di Adam Smith e Karl Marx hanno plasmato la vita umana nel corso del secolo passato. Più significativa è l'idea, e più direttamente essa influisce sulla dignità umana, tanto più deve essere fermamente ricondotta alla norma del vero e del bene.

Alla radice, questa è la cartina di tornasole dei principi fondamentali non negoziabili. In una società che ha raggiunto un consenso su queste basi, una vivace diversità emerge nella loro espressione e applicazione, con la luce bianca che rifrange nei colori diversi dello spettro. Quando siamo d'accordo su una stampa libera e il libero accesso alle informazioni, ad esempio, i mezzi di comunicazione diventano sempre più vari e sofisticati, dalla posta all’iPhone, dai giornali a questa pagina web. La celebre massima di Agostino, Ama Deum et fac quod vis (Ama Dio e fai ciò che vuoi), parla di questa santa libertà. Sulle grandi questioni, tuttavia, il dibattito pubblico non offre il lusso di un terreno comune, che anzi sta diventando sempre meno comune. E in questa arena non basta presupporre la buona volontà dell’interlocutore, semplicemente non è sufficiente. Aristotele ha giustamente osservato che tutti gli atti mirano ad un bene percepito. Ma nell’ordine oggettivo, tali percezioni sono spesso fuorvianti, male informate, o semplicemente sbagliate.

La vera carità non consente la tolleranza a questo proposito, perché cerca il bene morale di un altro, anche quando questo lo offende. Ma la carità non è sinonimo di gentilezza. Quest'ultima è la volontà di non offendere a tutti i costi, mentre la carità, esercitata con prudenza, getta una rete più ampia. Quando Gesù mangiò con i pubblicani e le prostitute, ha mostrato la carità per quelle anime, malgrado che alcuni si fossero offesi. Allo stesso modo, le sue azioni nel tempio per scacciare i venditori e i cambiavalute, che hanno causato grande scalpore, erano comunque finalizzate ad un bene più grande che ha avuto la precedenza sul compiacimento dei suoi correligionari. Non era bello da parte di Gesù chiamare i farisei guide cieche, sepolcri imbiancati, e razza di vipere. Ma la sua forte proclamazione della verità, anche di una verità scomoda, era volta a salvare le loro anime e le anime dei suoi ascoltatori.

La vera carità non pone solo il bene degli altri prima del TUO comfort personale, mette anche il bene degli altri prima del LORO confort personale. Questa è una vera sfida alla moralità popolare, dove l'unico peccato che ormai è rimasto è quello di offendere il prossimo. (Quante pubbliche pseudo-confessioni iniziano con la frase: "Se le mie azioni hanno offeso qualcuno..." E’ proprio raro lo scusarsi per aver fatto qualcosa di semplicemente sbagliato). Quando la verità stessa, che è la sola cosa a sostenere una società libera, viene sfidata, l’unico rimedio può essere solo una salda e incrollabile intolleranza.

Con particolare brio, l’arcivescovo Fulton Sheen, nel 1931 nel suo saggio "Un appello per l'intolleranza", rivela che questa confusione non è certo una cosa nuova:

“L’America, si dice, soffre di intolleranza, ma non è vero. Si soffre di tolleranza. Tolleranza di giusto e sbagliato, verso e falso, bene e male, Cristo e il caos. Il nostro Paese non è pieno di bigotti, ma di tolleranti . . . . La tolleranza è un atteggiamento di pazienza motivata verso il male, una pazienza che ci trattiene dal mostrare rabbia o infliggere punizioni. La tolleranza si applica solo alle persone, mai alla verità. La tolleranza vale per gli smarriti, l'intolleranza per l'errore. . . . Gli architetti sono intolleranti sul costruire i palazzi su fondamenta di sabbia, come pure i medici sono intolleranti nei confronti della presenza di germi in laboratorio. La tolleranza non si applica a verità o principi. A proposito di queste cose dobbiamo essere intolleranti, e per questo tipo di intolleranza, tanto necessaria per risvegliarci da questa palude sentimentale, io faccio un appello. L'intolleranza di questo tipo è il fondamento di ogni stabilità”.

Queste sono parole forti, ma la loro forza è vigorosa, non brutale. Solo la persuasione e l'attrazione della forza intrinseca della verità può combattere efficacemente gli errori - proponendo, non imponendo. E per chi ha realmente a cuore il benessere della società, tale proposta non è un'opzione che si ha la facoltà di esercitare oppure no. Nella sua enciclica Libertas, Leone XIII affermava che l'errore non ha diritti. La gente in errore ha dei diritti: il diritto di essere trattati con rispetto e carità, tanto per dirne uno, ma la persistenza incontrastata dell’errore, che si manifesta in un permissivismo "vivi e lascia vivere”, porta a gravi conseguenze per una società non più legata alla verità. Eppure, a fronte della crescente polarizzazione, come conciliare queste affermazioni con la nostra cultura pluralistica?

Un sano pluralismo non accetta lo status quo, spesso applicato come una sottile patina di mascheramento per la noncuranza morale. Soprattutto quando si tratta dei principi fondamentali, il pluralismo non può che essere un mezzo verso un obiettivo di consenso sociale, una convinzione condivisa della verità. In questa luce, le parole del presidente Obama a Notre Dame sono state molto strane. Egli ha detto: "Io non sto suggerendo che il dibattito sull'aborto possa o debba andare via." Perché non potrebbe? Ancora più importante, perché non dovrebbe? Se il presidente crede veramente che l'aborto è un diritto, che valore si vede in una perenne opposizione? A lui piacerebbe che ci fosse un dibattito più vigoroso sulla schiavitù? Siamo in qualche modo impoveriti perché ci sono così poche persone che chiedono l'abrogazione dell'emendamento 19 (quello che ha abolito la schiavitù dei negri in America – ndt)? Per coloro che riconoscono il diritto inviolabile del nascituro alla vita, il dibattito può finire anche subito. Non vi è alcun valore intrinseco in una molteplicità di punti di vista contrapposti.

I panegirici a questo tipo di diversità mi lasciano sempre un po’ perplesso. Una società schizofrenica, che non può o non vuole cogliere la realtà, non può pretendere di andare molto lontano. Non credo che avremmo molto beneficio, per esempio, da un improvviso boom dei sostenitori della teoria della Terra Piatta. Queste sono sciocchezze che impediscono la crescita, perchè non si può costruire quando non ci sono le fondamenta. Solo la piena fiducia nella sfericità terrestre consente alla scienza, ai viaggi e al commercio di espandersi e prosperare. Altrimenti si rimane stagnanti, atrofizzati e si ha sempre paura di cadere dal bordo.

Una società veramente pluralistica, quindi, non si fa intimidire da queste sfide, ma si lascia coinvolgere con entusiasmo in un dialogo costruttivo. E solo un desiderio condiviso di verità impedisce al dialogo di diventare soggettivismo, in cui ognuno condivide l propri pensieri e sentimenti personali. Le aperture al dialogo, in tal caso, vanno a finire in un “parlare del parlare”. Tale logica circolare porta ad una società isolata, chiusa in se stessa, moralmente alla deriva e incapace di rimanere a galla.

Senza avere delle convinzioni riguardo alle cose basilari, la tolleranza diventa apatia, l'ignoranza diventa pluralismo e il dialogo diventa cacofonia. Solo quando la verità, assunta come guida, infonde questi termini con le giuste distinzioni e indicazioni, solo allora si può contribuire a elevare la società a un pensiero più alto – il pensare bene viene prima del vivere bene. Senza passare frettolosamente sopra alle differenze, una società polarizzata e una Chiesa polarizzata devono avventurarsi, con onestà e franchezza, in una ricerca senza compromessi della verità, che è l’unica garanzia di una pace reale e duratura. Questo esercizio, questa conversazione, non arriva mai ad una fine. Ma una tale conversazione, intrapresa con sincerità, rispetto, amore autentico per gli altri, è un buon modo per iniziare.

Autore: Brian A. Graebe. Pubblicato il 30 luglio 2009
Ringraziamenti a First Things: link al post originale